Essere un imprenditore è un mestiere piuttosto impegnativo: ci sono molti aspetti da curare, le ore in ufficio non sembrano mai abbastanza, i familiari non ti capiscono e ti accusano di essere cinico, anaffettivo e poco sensibile e senti il peso delle tue scelte, quelle non semplici ma che dovrai comunque e inevitabilmente compiere, ripercuotersi sui tuoi dipendenti.
Immaginate ora cosa voglia dire essere figlio di un imprenditore; i commenti, le insinuazioni e i paragoni saranno all’ordine del giorno: “Non sa cosa voglia dire sudare veramente.. Ha avuto sempre la pappa pronta.. Non sarà mai all’altezza di suo padre.” A meno che non sia partito dal basso, e quando dico basso intendo proprio essere l’ultima ruota del carro, il sentimento che serpeggerà tra i dipendenti sarà di totale avversione nei suoi confronti, un ricco del resto non ha mai ispirato molta simpatia. Trovarsi in una situazione del genere può quindi essere poco piacevole e il sentimento d’ansia e di poco controllo sarebbe costantemente presente, assieme alla paura di sbagliare, di non essere abbastanza bravo da potere svolgere un incarico concesso, in fondo, per nascita.
Ecco perché l’aiuto di un mental coach può essere davvero provvidenziale. Non si tratterà di un fallimento – avrebbe senso, infatti, avvalersi del suo supporto prima di un evento spiacevole o di accedere a determinate cariche- ma della volontà da parte del soggetto di capire quale sia la meta lavorativa che intende raggiungere. Il mental coach lo aiuterà a trovare i giusti obiettivi da realizzare, quelli che lui sente propri e non una mera e pallida copia di quelli di suo padre.
Quali sono gli obiettivi che si prefiggerà?
Essenzialmente le attività che andrà a compiere sono tre:
- Fargli comprendere che è un’entità a sé, non legata indissolubilmente al proprio genitore, dotata quindi di potere decisionale. Lo scopo del mental coaching, per chi non lo sapesse, è proprio quello di responsabilizzare il soggetto, renderlo padrone delle sue azioni, infondergli quella fiducia necessaria per agire senza dubitare di se stesso;
- Fargli capire che non per forza deve possedere le stesse abilità del padre, il fatto che abbiano contribuito al suo successo non significa, infatti, che debbano essere solo ed esclusivamente quelle, che siano le uniche accettate, ma che, al contrario, è necessario vagliare tutto molto attentamente e scovare, soprattutto, le sue potenzialità latenti, quelle che magari ha represso perché non considerate adeguate;
- Insegnargli a gestire situazioni di panico, la cosiddetta ansia da prestazione piuttosto che il fantasma del padre usato sempre come metro di paragone.
Tali step completerebbero quel cammino che ha come obiettivo quello di renderlo indipendente e altrettanto autorevole e professionale come il capofamiglia. Il nuovo e il vecchio, uno conscio dei successi avuti e l’altro consapevole delle sue capacità, e non più insicuro e titubante, potrebbero dare così lo slancio necessario all’azienda per rinnovarsi e continuare a prosperare.
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