È la gara della vita, se fai il risultato sperato ottieni la convocazione ai Mondiali.

Ero un animale da gara, tant’è che in allenamento non sono mai, ripeto: MAI, riuscito a riprodurre gli stessi risultati da competizione.

 

Scenario uno. Il palazzetto è vuoto, sei praticamente solo, perché per te gli addetti ai lavori e gli avversari non contano, è una gara valida solo per i “minimi” di qualificazione, di scarso richiamo per il pubblico: sei più sereno o ti senti scarico?

Scenario due. Il palazzetto è gremito, è l’ultima occasione per fare i minimi ed è in ballo anche il titolo italiano, tra il pubblico ci sono proprio tutti, compresi i genitori e la fidanzata: te la fai sotto o ti gasi a mille?

 

Per usare un linguaggio caro ai cultori della Pnl, la Programmazione Neuro Linguistica, potrei iniziare a raccontarvi di metaprogrammi, di sistema referenziale interno o esterno, ma quando ho iniziato l’attività agonistica, quasi #$§&^ anni fa, non ne sapevo un fico secco di tutto ciò.

Ricordo soltanto che un bel giorno, proprio in occasione di una gara importante, e dopo aver detto ad amici e parenti che se avessi fatto quel tal risultato sarebbero cambiate molte cose, mi sono improvvisamente sentito in una morsa d’acciaio. «E ora? Non vorrai mica fare una figura di melma mondiale di fronte a tutta questa gente? Perché non sei stato zitto, così non veniva nessuno?», dicevo tra me e me all’avvicinarsi del mio turno. Ebbene, in quel momento è scattata una molla. Sono diventato un leone, non stavo più gareggiando per me medesimo, contro i miei limiti, no! Stavo solo cercando di evitare in tutti i modi possibili la colossale figura di melma che avrei fatto non raggiungendo quell’obiettivo così importante, soprattutto perché non avevo ancora scelto dove fuggire in caso di fallimento, e dunque non c’era scampo… Com’è andata? Ebbene sì, ce l’ho fatta, e non sto qui a raccontare cosa c’era in palio, poco importa. Ciò che importa adesso è spiegarvi, dopo #$§&^ anni, cosa è scattato nella mia mente quel fatidico giorno. Perché l’ho capito molto tempo dopo, questo è il punto.

Da quel momento di panico trasformato in grinta mondiale, durante ogni gara, e in modo del tutto automatico, immaginavo (visualizzavo) che in prima fila ci fosse la fidanzatina o la mamma o il babbo a guardarmi, e il leone tornava a ruggire. Ero un animale da gara, tant’è che in allenamento non sono mai, ripeto: MAI, riuscito a riprodurre gli stessi risultati da competizione. Quasi tutti i miei colleghi, invece, in allenamento sprizzavano faville, ma poi in gara… se la facevano sotto! E non sto usando una metafora: in borsa avevano sempre un rotolo di carta igienica perché prima di salire in pedana il corpo reclamava e produceva smottamenti tellurici. Non è una bella immagine, lo so, ma avete idea di cosa succede in uno spogliatoio prima e durante una gara di alto livello, vero? Davanti a “quella porta”, c’è sempre la fila…

E adesso arriva la domanda da 100 pistole: voi, miei cari quattro lettori, vi siete mai domandati qual è la fonte della vostra motivazione? La spinta arriva da dentro o dall’esterno? Sapete che si può lavorare molto su questo aspetto e farlo diventare una chiave del successo (sportivo, di lavoro o di vita, poco cambia), grazie a tecniche di visualizzazione, di concentrazione, gestione dell’ansia nel pregara e durante la competizione e molto altro?